Isis, primi segnali di un ritorno operativo: i Paesi di origine dei militanti ora possono fare molto





I giorni appena trascorsi hanno segnato un significativo ritorno di operazioni dell’Isis, quando gli agenti collegati al gruppo terroristico hanno tentato di liberare i detenuti incarcerati nel centro di detenzione di Hasaka, nel nord-est della Siria, dove si sono svolti intensi combattimenti con le forze democratiche siriane (Sdf).

Questa è stata sicuramente l’operazione più importante dalla caduta dell’Is e allo stesso tempo la più sofisticata. Inoltre, è davvero allarmante la modalità e lo spirito dell’iniziativa: hanno avviato apertamente un’operazione aggressiva di irruzione in una prigione per liberare con la forza i combattenti ben addestrati dell’Isis che vi erano rinchiusi dalla caduta del gruppo alcuni anni fa.

Sebbene, da più di un anno, fosse già noto che attaccare la struttura di detenzione fosse una priorità assoluta dell’Is, il gruppo è comunque riuscito a organizzare e sferrare l’attacco e ha resistito per più di sei giorni fino a quando le forze democratiche siriane (Sdf) sostenute dagli Stati Uniti sono riuscite a riprendere il controllo della prigione. Secondo la coalizione statunitense gli attacchi dell’Is dei giorni scorsi hanno indebolito ancora di più il gruppo militante, tuttavia è importante leggere l’intera vicenda da un punto di vista critico.


Per ciò che concerne la sicurezza, l’attacco rappresenta un progresso molto significativo a tutti i livelli, pianificazione e funzionamento, logistica e coordinamento, ma soprattutto la capacità e l’ambizione di prendere di mira un luogo protetto. Inoltre, per poter condurre un simile attacco è necessario avere facilitatori internial carcere stesso, il che significa che c’è sicuramente un errore di intelligence con una sorta di infiltrazione per poter comunicare con i detenuti e coordinare con loro l’attacco. Non si esclude siano state inviate armi all’interno, anche se la dichiarazione ufficiale afferma che i detenuti hanno sequestrato le armi alle guardie carcerarie che poi hanno ucciso e solo successivamente hanno ingaggiato uno scontro con le forze di reazione rapida Sdf.

Il problema relativo ai detenuti appartenenti all’Isis non è nuovo e in realtà ad oggi non c’era una soluzione concreta per questo problema. Secondo vari rapporti, le Sdf detengono circa 12.000 sospetti prigionieri Is, tra essi più di 2.000 stranieri provenienti da quasi 50 paesi. Sono stati trattenuti in diversi centri di detenzionegestiti dalle Sdf nel nord-est della Siria dalla sconfitta territoriale dell’Is nel marzo 2019. Quindi continuare a chiudere gli occhi su questo problema potrebbe portare a conseguenze catastrofiche, riportando l’intero sforzo di lotta al terrorismo al punto di partenza in questo confronto aperto.

Pertanto, è oggi obbligatorio per i paesi di origine di questi militantiintraprendere azioni (rimpatriare, riabilitare) e passi concreti (reintegrare, perseguire) nei confronti dei loro cittadini detenuti in queste carceri.

Questo attacco rappresenta i primi segnali del ritorno dell’Isis a livello operativo, pertanto va considerato un incidente allarmante che richiede una maggiore attenzione al lavoro della Global Coalition to Defeat Isis.

Nel contempo, poiché questa questione in sospeso non trova una soluzione rapida, è importante concentrarsi sulla sicurezza di queste aree, evitando gli errori che hanno portano a un tale attacco. È perentorio e prioritario migliorare la detenzione dei combattenti dell’Isis sia dal punto di vista della sicurezza, sia umanamente. È inoltre necessario come misura deterrente rafforzare la sicurezza delle strutture di detenzione coinvolgendo la coalizione nell’applicazione della strategia preventiva non solo nell’intervento post-crisi.

Dr. Amer Al Sabaileh