A due anni dal ritiro Usa, l’Afghanistan resta strategico per terrorismo e geopolitica

Sono passati due anni dal ritiro americano dall’Afghanistan, e anche se oggi l’attenzione internazionale è focalizzata su altri scenari di guerra come l’Ucraina o più recentemente il Niger, il paese mediorientale rimane uno dei punti nevralgici della geopolitica internazionale, e per questo merita che la sua situazione sia seguita con attenzione.

Uno degli elementi da tenere prioritariamente in considerazione in Afghanistan è la forte crescita del gruppo terroristico Isis Kh e la sua ambizione di minare l’autorità dei talebani e di espandersi verso altri paesi limitrofi come Pakistan e Tagikistan. In questo quadro il paese ha subito numerosi attacchi terroristici che hanno confermato lo sviluppo delle capacità tattiche dei terroristi e la concomitante trasformazione della sua strategia nell’individuare alleati in altri territori, in particolare in Pakistan e in Asia centrale.

Dopo due anni dal ritiro americano, la lotta al terrorismo rappresenta una sfida e l’Afghanistan è stato il terreno ideale per la riorganizzazione di questi gruppi che hanno potuto riemergere con forza, proponendo un modello sempre più sofisticato.

Non si può escludere il fatto che il ritiro delle truppe occidentali abbia “aperto l’occhio” cinese verso questo paese e in questi due anni l’Afghanistan ha ricevuto un interessamento cinese cha ha interessato diversi ambiti, soprattutto economici. È evidente che Pechino ha l’obiettivo di stabilizzare l’area in modo da prevenire un possibile scenario di guerra e instabilità, possibili scenari che potrebbero produrre un impatto negativo non solo nell’area geografica di riferimento ma anche sulla stessa Cina.

Quindi anche se l’attenzione internazionale non è più focalizzata sull’Afghanistan, ciò non significa che le dinamiche che sta vivendo il paese possano essere sottovalutate, in particolare la partenza dei contingenti americani ha aperto la strada ad un antagonista degli Usa, la Cina, che è intervenuta e oggi si trova coinvolta in un processo di stabilizzazione che ha i contorni di una missione impossibile anche per un colosso come la Tigre cinese. Quest’ultima si è trovata in qualche modo costretta a mettere in atto una strategia di prevenzione dei rischi che nella regione sono altissimi.

Se guardiamo alla diplomazia internazionale possiamo notare che in questi anni non si sono fermati i tentativi di riabilitare il regime talebano. In questo frangente vediamo paesi come il Qatar che ha lavorato in questa direzione – paese che da anni ospita un ufficio di rappresentanza del regime talebano a Doha.

Da un punto di vista analitico e di osservazione le politiche condotte dai talebani in questi due anni non hanno sostanzialmente sostenuto i tentativi della diplomazia internazionale.

Quindi anche se l’attenzione internazionale non è più focalizzata sull’Afghanistan, ciò non significa che le dinamiche che sta vivendo il paese possano essere sottovalutate, in particolare la partenza dei contingenti americani ha aperto la strada ad un antagonista degli Usa, la Cina, che è intervenuta e oggi si trova coinvolta in un processo di stabilizzazione che ha i contorni di una missione impossibile anche per un colosso come la Tigre cinese. Quest’ultima si è trovata in qualche modo costretta a mettere in atto una strategia di prevenzione dei rischi che nella regione sono altissimi.

Se guardiamo alla diplomazia internazionale possiamo notare che in questi anni non si sono fermati i tentativi di riabilitare il regime talebano. In questo frangente vediamo paesi come il Qatar che ha lavorato in questa direzione – paese che da anni ospita un ufficio di rappresentanza del regime talebano a Doha.

Da un punto di vista analitico e di osservazione le politiche condotte dai talebani in questi due anni non hanno sostanzialmente sostenuto i tentativi della diplomazia internazionale.

15/8/2023

Dr.Amer Al Sabaileh